scandalo diamanti. Sileoni: “i bancari sono stati lasciati soli” e “andare fino in fondo, colpe non dei dipendenti”

DIAMANTI, I BANCARI SONO STATI LASCIATI SOLI. FABI: SI FACCIA CHIAREZZA
“Il nostro ottimo sindacalista Marco Arisi in una intervista su Mondo Padano parla del caso diamanti. Faccio mia tutta la sua intervista. Se a qualcuno delle banche venisse in mente di attuare eventuali ritorsioni farà i conti con me”. Lando Maria Sileoni, Segretario Generale FABI
Sileoni aggiunge:
SUI DIAMANTI ANDARE FINO IN FONDO, COLPE NON DEI DIPENDENTI
Leggi il comunicato stampa con la dichiarazione del Segretario Generale della FABI, Lando Maria Sileoni, in merito alla vicenda dei “preziosi” venduti dalle banche. “Siamo stufi di prenderci colpe non nostre, reagiremo con ogni mezzo a disposizione”

L’intervista di Marco Arisi si trova sul sito www.fabi.it

MONDO PADANO 22-02-2019

di Paolo Carini

“Pensi alla situazione di un dipendente di una filiale. Che sul posto di lavoro o nel paese dove abita o, intanto che beve il caffè al bar, si sente chiedere: c’è qualcosa di nuovo per la storia dei diamanti? Quando li potro’ vendere? E magari lui stesso aveva comprato uno o più diamanti per se o per i familiari. E’ una situazione veramente drammatica che i colleghi vivono dal 2016, dopo le inchieste di Report. La nostra azienda, Banco Popolare BPM, ha mantenuto una posizione molto rigida dichiarando di non voler procedere a nessun rimborso massivo, ma di essere disponibile a gestire singolarmente, tramite una task force, i reclami ufficiali presentati della clientela. Di fatto, non sono state mai date ai colleghi indicazioni precise ed esaustive sul comportamento da mantenere nei confronti di tutti i clienti che hanno stipulato un contratto con Idb tramite banca. I clienti vanno avvisati? Bisogna aspettare che vengano in filiale arrabbiati?» Marco Arisi, dipendente del Banco BPM e sindacalista della Fabi, aggiunge, ad una prima analisi, quello che sarebbe il nocciolo della questione: «In questo modo si viene a minare la fiducia che c’è tra la banca e il cliente…». «C’è la sentenza dell’Antitrust – continua Arisi – che taglia la testa al toro: nell’intermediazione, il ruolo della banca è stato decisivo: nessun cliente avrebbe acquistato i diamanti se l’operazione non gli fosse stata proposta all’interno del suo istituto di credito». «Tutto è iniziato attorno al 2012 nel Banco Popolare – ricorda – e in quel primo periodo, veniva solo chiesto se ci fossero clienti che, per propensione e disponibilità economica, potevano essere interessati all’acquisto dei diamanti. Quali fossero i termini del contratto tra la banca e la società di commercializzazione Idb , non ci erano noti, ma era specificato che la banca aveva un ruolo di segnalatore e il contratto con il cliente veniva stipulato direttamente con Idb . Avevano sorpreso le dinamiche di crescita dei prezzi dei diamanti nell’ordine del 4% annuo e su tutto, le voci sulla provvigione che sfiorava il 20 per cento. Una cosa mai sentita, ma erano solo voci. Poi, sono cominciate segnalazioni sempre piu’ numerose a seguito di sollecitazioni sempre più forti al collocamento di diamanti. In molti casi, i colleghi stessi ne hanno acquistati e ne hanno consigliato l’acquisto a parenti amici e conoscenti. Finché è arrivata la prima puntata dell’inchiesta di Report, il 30 settembre del 2016. Quella ha fatto saltare il banco…. C’è stato un primo periodo di “congelamento”, poi sono arrivati i primi mandati a vendere, ma anche la seconda puntata sull’argomento, a circa un anno di distanza. A quel punto, non si poteva più vendere».

Dalla denuncia televisiva, cosa si è scoperto? «Di fatto, che la Idb, l’azienda che è stata dichiarata fallita, adottava un modello tipo schema Ponzi. Il prezzo era fatto da loro, quindi il sistema si reggeva solo sulla domanda: era solo la domanda di nuovi diamanti a sostenere il business. Si, perchè le vendite delle pietre potevano essere fatte solo tramite Idb. Può darsi che qualcuno sia riuscito effettivamente a guadagnare qualcosa, se è riuscito a far partire il mandato di vendita prima della trasmissione di Report».

Quale è stata la reazione della banca? «Alla prima trasmissione del 2016, la banca si è uniformata alla tesi di Idb che ha reagito dicendo che trasmissione della Gabanelli non era stata fatta in modo serio. C’è ancora il comunicato sul sito della Idb. Loro sostenevano che facevano un prezzo leggermente più alto rispetto ai primi player del mercato e che comunque il loro prezzo era comprensivo di alcuni servizi e per questo si ritenevano tranquilli. In realtà, dalla messa in onda di quella trasmissione, si blocca tutto. Ed è lì che esce il modello Ponzi, prima non si sapeva. Sono arrivati i primi clienti che hanno detto: guardi, facciamo una bella cosa, mi venda questa pietra. Ma le vendite non si sono mai concretizzate.».

Come sindacato, come avete interpretato tutta la vicenda? «Noi siamo intervenuti in tempi non sospetti, molto prima della trasmissione televisiva. Denunciando all’ azienda che non era plausibile che un prodotto che la normativa interna definiva escluso da attivita’ promozionale fosse diventato argomento nelle mail di sollecitazione al raggiungimento degli obiettivi commerciali. La banca può fare un contratto con una società che colloca un bene che può essere chiamato bene di consumo o bene rifugio, ma di certo non può essere considerato un prodotto finanziario. La banca si pone come intermediario. L’impiegato è un semplice segnalatore. In sostanza, all’inizio, nel rapporto con l’azienda venditrice, la banca aveva solo il compito di segnalare i possibili investitori. l contratti dovevano essere stipulati dall’azienda Idb direttamente con il cliente».

Il problema, però, è che il contratto veniva stipulato all’interno della banca… «SI, non si può rispondere diversamente».

Come è stato il passaggio, per il bancario, da semplice segnalatore a venditore?«Il problema ha riguardato tantissimi colleghi che sono la parte più vulnerabile della vicenda. Hanno venduto diamanti ai clienti, a se stessi, ai propri familiari e ai propri amici in totale buona fede perché non hanno mai dubitato della propria azienda. E sono quelli che, adesso, sono nella situazione peggiore. Allora, se c’è un contratto tra la Idb e la banca, come dipendente come faccio a sospettare della bonta’ di questo accordo? Soltanto loro sanno quale è la commissione per ogni vendita. Idb riesce a collocare un diamante di 10 mila euro, alla banca viene riconosciuta logicamente una commissione. Altissima, fuori mercato? Giuro che non lo so. Quel che abbiamo sentito è che va dal 20 al 40 per cento (nel caso si vendesse nel primo anno, la percentuale aggiuntiva era del 17 per cento). Ci può stare tutto, ma già il 20 mi sembra una cifra enorme. Però questo “affare” inizia nel 2012 ed è in crescita fino al 2015. Inizia molto piano, ma poi cresce molto. Questo perché questa commissione è molto allettante per una banca ed è apparentemente a rischio zero. Il verbale dell’Antitrust parla di 100 milioni di commissioni di cui la meta’ nel 2015 e 2016. Chi ha fatto il contratto non ha fatto una valutazione seria, questo credo sia indiscutibile. Il responsabile di una politica commerciale di questo tipo non ha fatto la minima valutazione sulla società Idb e nemmeno sulla struttura del mercato dei diamanti. Sembra che l’unica cosa valutata sia la commissione che è fuori mercato: il 20 per cento non lo prende nessuno». «Succede quindi – continua Arisi – che tutto questo si contestualizzi all’interno delle politiche commerciali particolarmente aggressive degli ultimi anni, che noi come sindacato abbiamo denunciato e continuamo a denunciare e che sono finalizzate al raggiungimento di obiettivi nel brevissimo termine a scapito di tutta una serie di tutele sia per i dipendenti che per i clienti. E questo rischia di minare il rapporto centrale tra cliente e banca che si basa sulla fiducia. Mi pare sia l’aspetto essenziale, ma solo il sindacato ha il coraggio di denunciarlo. Sono 2 anni che sono con i colleghi di Cremona su questa vicenda dei diamanti e so benissimo che sono stati lasciati soli nel gestire il rapporto con il cliente. Erano stati sufficientemente seguiti solo quando c’era da vendere. C’era un obiettivo da raggiungere: tu, ogni mese, devi fare 100. Poi, come lo fai, è un problema tuo. Noi bancari non abbiamo contrattualmente obblighi di raggiungimento dei risultati. Ma è necessario che tu lo faccia perché se non raggiungi l’obiettivo commerciale, sei considerato un cattivo dipendente. Questo è l’effetto peggiore delle pressioni commerciali. Non è sufficiente che tu ce la metta tutta per raggiungere il risultato. Se non lo raggiungi, non sei un buon dipendente. Quindi sei passibile di trasferimenti, demansionamenti e soprattutto, alla totale messa alla berlina. Questo è ciò che noi, come sindacato, denunciamo da anni e fortunatamente, all’interno della nostra azienda Banco BPM spa, abbiamo trovato un accordo prima di Natale sulle politiche commerciali, nel quale alcune pratiche vengono riconosciute come vietate anche dall’azienda stessa. Quindi, perché il collega si e’ sentito costretto a vendere diamanti? Perché era un prodotto messo a disposizione dall’azienda in un contesto di forti pressioni commerciali. In modo da generare la paura che il loro mancato raggiungimento avesse come conseguenza l’essere messo da parte, essere trasferito, demansionato». 

Ci chiediamo ma quanti poveri lavoratori palermitani e siciliani sono stati pressati dai propri capetti per vendere sovraprezzo i diamanti? Come si evince la FABI e tutta la FABI con in testa il suo leader chiede che sull’argomento si faccia la massima chiarezza.

Sul sito www.inuovivespri.it è stato pubblicato l’articolo ieri un articolo a firma Carmelo Raffa che riportiamo giù:

Sistema bancario inquinato e da riformare subito. Se non bastavano gli scandali di Banca Etruria del Monte dei Paschi di Siena, delle Banche Venete etc. etc. basta leggere la nota  giù riportata dell’ascanews di ieri per rendersi conto che i Manager hanno continuato ad agire calpestando le regole minime di correttezza:

“Truffa su diamanti, gip: a dg Banco Bpm Faroni 150 mila da Ibd Due donazioni alla Fondazione del dg di Banco Bpm Milano, 20 feb. (askanews) – Due erogazioni, la prima da 100 mila euro e la seconda da 50 mila euro, versate nel 2007 e nel 2008 a favore dell’associazione “Amici di Francesco Onlus” fondata e presieduta dall’attuale direttore generale di Banco Bpm Maurizio Faroni, ora indagato per autoriciclaggio nell’inchiesta milanese sullo scandalo della vendita diamanti a prezzi “gonfiati” rispetto al reale valore di mercato. Ad effettuare le due donazioni, per un totale di 150 mila euro, è stata la Italmarket Diamond Business (IdB), una delle società finita nel mirino degli inquirenti insieme alla Diamond Private Investment (Dpi) e alle cinque BANCHE (Banco Bpm, Unicredit, Intesa SanPaolo, Mps e Banca Aletti) ora sotto indagine insieme a una settantina di persone accusate a vario titolo di truffa aggravata, autoriciclaggio e ostacolo agli organi di vigilanza. Il particolare emerge dal decreto, firmato dal gip di Milano Natalia Imarisio, che ieri ha portato al sequestro preventivo di 700 milioni di euro. Il fenomeno delle “regalie ai dirigenti” delle BANCHE era “una prassi”, sottolinea il giudice milanese facendo anche riferimento alla “rabbia del personale che, per contro, si sente dai maggiori responsabili abbandonato”. Aspetto, questo, che emerge dal contenuto di alcune intercettazioni. Uno dei dirigenti di Banco Bpm, Angelo Lo Giudice, nel giugno 2018 si lamenta con un collega della “gente che ha avuto regali dalla società, viaggi, soggiorni con la famiglia in località termali e cose di questo tipo…”. In un’altra conversazione, sempre del giugno scorso, lo stesso manager chiede “per quale motivo chi ha fatto materialmente le cose, chi ha preso dei soldi, chi ha preso dei regali e chi ha fatto cose turche in questo momento è seduto al suo posto e sta tranquillo”

E’ una vera vergogna anzi una vergogna che non ha limiti. Clienti ingannati che hanno creduto nei propri istituti di credito e si sono visti rifili lare delle quasi patacche al posto di costosi gioielli e che oggi si sentono traditi da chi doveva tutelarli.

Non solo la clientela ma anche i poveri ignari lavoratori completamente inesperti di diamanti e gioielli, secondo quanto emerge dai provvedimenti giudiziari, sono stati costretti a vendere, vendere e sempre più vendere sull’altare dei benefit goduti principalmente dai manager.

Eppure alcune di queste  Banche all’interno disponevano di personale qualificato (gli addetti al pegno) per fare verificare la bontà dei prodotti in vendita. Ci chiediamo perché non hanno utilizzato queste esperte Persone prima di impaccare i propri clienti?

Ora la Magistratura faccia chiarezza ma è chiaro che tutta la responsabilità di quello che è accaduto è da attribuire a Manager senza scrupoli e certamente non ai poveri lavoratori costretti a vendere prodotti di cui non avevano contezza del proprio valore.

Sembra chiaro che gli Amministratori dovrebbero a questo punto rimuovere coloro che con queste azioni hanno infangato la credibilità delle proprie banche. Ma lo faranno?

Carmelo Raffa”

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