La “faccia nascosta della luna” del settore bancario italiano (pubblicato da MF del 3 ottobre 2019)

La “faccia nascosta della luna” del settore bancario italiano
di Lando Maria Sileoni
Segretario generale FABI
Per capire quello che sta accadendo nel settore bancario italiano è indispensabile
analizzare attentamente cinque aspetti. 1) Quale sarà la politica e l’atteggiamento di
Andrea Enria, presidente della Commissione di vigilanza della Bce, rispetto alla
politica di Danielle Nouy. Gli amministratori delegati si stanno, sull’argomento,
interrogando. 2) L’età anagrafica degli amministratori delegati dei gruppi bancari. 3)
Quanto e se inciderà il rapporto degli azionisti più influenti rispetto alle ambizioni
degli amministratori delegati. 4) Da quanti anni sono ai vertici dei propri gruppi. 5)
Se e quando la Bce introdurrà nel settore bancario europeo i criteri di onorabilità
per i vertici degli istituti di credito.
Per tornare all’attualità di questi giorni, credo che le voci e le dichiarazioni che ne
sono seguite dipendano da iniziative individuali di singoli amministratori delegati
che si stanno riannusando dopo i contrasti e le incomprensioni dovute alla mancata
fusione fra Ubi e Bpm. Operazione che, pur avendo una validissima logica
industriale, fu affondata esclusivamente dalla politica nazionale e locale (Verona)
oltre che dal disaccordo sui posti di comando. La stessa assemblea di Bpm del 2016
che doveva approvare la trasformazione della cooperativa in spa rappresentò il vero
test di tenuta della riforma delle banche popolari voluta dal governo Renzi.
Enrico Cuccia, storico presidente di Mediobanca, sosteneva che le operazioni
finanziarie prima si realizzano e poi si annunciano. Se questa regola è sfuggita
all’attenzione di qualcuno, è anche perché all’orizzonte si profilano importanti
rinnovi dei consigli di amministrazione e perché ogni amministratore delegato ha la
sua personalità. Non è d’altronde la prima volta che accade. Le dichiarazioni di altri
personaggi seguite nei giorni successivi sono o dichiarazioni di rito che tendono a
ridimensionarne altre o per rispondere alle spinte e alle reazioni dei territori e degli
azionisti o per farsi leggere dalla Bce e dalla Commissione di Vigilanza che rispetto al
tema delle aggregazioni il settore ha le giuste attenzioni o per lasciarsi aperta
qualunque porta.
Le iniziative dei singoli, comunque, spesso ottengono l’effetto contrario: invece di
dimostrare la vitalità del settore, ne certificano la staticità. Tant’è che investitori
forti – come ricchi, credibili e autorevoli fondi internazionali – che vorrebbero
aumentare la loro presenza nell’azionariato di alcune banche, sono tenuti a
bagnomaria, fuori dalla porta. D’altronde, le novità in un settore così conservativo
creano sempre perplessità. In questo contesto rimarrà comunque fondamentale la

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politica della Commissione di vigilanza e della Bce. Che, mese più mese meno, anno
più anno meno, vorranno sicuramente raggiungere, rispetto al tema delle
aggregazioni, determinati obiettivi. Il sindacato, che vuole svolgere fino in fondo il
proprio ruolo sociale, non potrà comunque rimanere semplice spettatore di quelle
aggregazioni che potrebbero creare migliaia e migliaia di esuberi. Il sindacato, quello
autentico e vero, dovrà farsi carico non solo della difesa dei posti di lavoro, ma
anche della necessità di creare nuova occupazione. Ho apprezzato l’iniziativa di
Intesa Sanpaolo che ha aderito, lo scorso 22 settembre, ai Principles for Responsible
Banking dell’Onu. L’amministratore delegato Carlo Messina ha detto che la banca
attribuisce «un ruolo contrale ai progetti rivolti alla crescita sociale, culturale e civile
delle comunità». E il 19 settembre aveva dichiarato che «le persone sono il vero
punto di forza di ogni azienda. Il capitale umano è il fattore distintivo di ogni azienda
e noi le persone cerchiamo di trattenerle in banca».
I mercati hanno reagito bene alle voci di un’eventuale fusione tra Ubi e BancoBpm
solo perché si profilava un taglio dei costi di almeno il 30%, insomma una macelleria
sociale che il sindacato non potrà mai accettare. E di fronte a piani industriali, come
quello fatto annunciare da Unicredit, abbiamo già detto che a un numero
consistente di prepensionamenti e pensionamenti volontari, dovrà corrispondere un
numero consistente di assunzioni. Lo stesso nuovo governo giallo-rosso (Pd-M5S-
Leu) non potrà restare alla finestra di fronte a una eventuale aggressività sociale
perpetrata dai gruppi bancari.
Per essere intellettualmente onesti, voglio rimarcare il fatto che, rispetto alla
posizione intransigente dei sindacati bancari, la maggior parte degli amministratori
delegati ha, fino a oggi, risposto con il dialogo e la condivisione sia per quanto
riguarda le forme di uscite volontarie (pensionamenti e prepensionamenti) sia per le
oltre 20.000 assunzioni che i sindacati hanno ottenuto anche grazie al contributo
economico di tutte le lavoratrici e i lavoratori del settore. Ma se in Italia, a differenza
dell’Europa, non si è licenziato è soltanto perché i sindacati del settore del credito
hanno fatto quadrato ed eretto un muro sociale e contrattuale di fronte a iniziative
inaccettabili, aggressive e dirompenti.
I prossimi mesi saranno determinanti per il rinnovo del contratto collettivo
nazionale di lavoro che riguarda 288.00 persone. Ieri si è svolto il Comitato affari
sindacali e del lavoro di Abi e a me risulta che abbia preparato una proposta da
presentare ai sindacati rispetto a una cabina di regia che dovrebbe avere potere
contrattuale di negoziazione sull’argomento dell’innovazione tecnologica dei gruppi.
I rappresentanti delle banche hanno espresso da tempo l’esigenza di chiudere la
vertenza entro la fine dell’anno per avere poi mani libere sui piani industriali e sulle
scelte strategiche dei prossimi anni. Nella loro testa c’è sempre la necessità di

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spendere poco e di arrivare a un eventuale accordo senza scioperi e senza il blocco
delle trattative dei piani industriali da parte del sindacato. Sicuramente ai gruppi
bancari non farà piacere un attacco mediatico come quando scendemmo in piazza in
60.000 per il rinnovo contrattuale del 2015, ma farebbe ancora meno piacere il
blocco delle trattative e degli accordi sui prossimi piani industriali. Per questi motivi,
è indispensabile che ognuno si prenda le proprie responsabilità nel segno della
chiarezza anche rispetto a quanto dichiarato all’interno delle riunioni dell’esecutivo
e del Comitato di presidenza Abi. Dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ci
aspettiamo la stessa coerenza e linearità di comportamenti che ha mostrato fino a
oggi. Non comprenderemmo una sua eventuale posizione di chiusura rispetto alle
nostre richieste economiche pretesa da qualche amministratore delegato presente
nel Comitato di presidenza Abi. In sintesi: da una parte c’è un rinnovo contrattuale
importante e strategico da condividere che coinvolge tutti i singoli gruppi bancari,
dall’altra una piattaforma sindacale che tiene conto dei risultati economici ottenuti
dalle banche e di tutta una serie di argomenti di carattere sociale e contrattuale che
non possono essere trascurati.
Se gli istituti di credito vorranno ricevere dal sindacato una giusta ed equa
considerazione rispetto anche alle loro esigenze organizzative, non potranno
tralasciare l’importanza di un rinnovo contrattuale imperniato su argomenti
strategici per il sindacato e per tutti i lavoratori bancari, come la richiesta
economica, la difesa e il rilancio dell’occupazione, la salvaguardia della propria area
contrattuale.

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